È come il movimento di una marea: dalla fine di febbraio, un enorme flusso di persone si sta riversando sul confine ucraino, saturando i passaggi alla frontiera. A qualche chilometro di distanza, come nel minuscolo villaggio polacco di Medyka, la complessa macchina dell’accoglienza è diventata precisa ed efficace dopo solo pochi giorni dall’inizio dell’esodo. Quest’organizzazione è indispensabile: secondo l’Organizzazione mondiale per le migrazioni, al 15 marzo erano già 3 milioni i profughi ucraini. Su ereb, un reportage fotografico che documenta il passaggio della frontiera verso la Polonia.
La strada che porta da Lviv – la città più grande dell’Ucraina occidentale – alla frontiera, vede una fila di autoveicoli di ogni genere lunga 20 chilometri. Ogni giorno, centinaia di migliaia di persone sono in attesa di passare il confine, in cerca di salvezza. Per questo, le autorità gestiscono il flusso in “ondate” di persone, sia che arrivino con la ferrovia, in macchina o a piedi. Per lo stesso motivo, i treni, vecchi e sovraffollati, che da diverse città dell’Ucraina conducono alla città polacca di Przemyśl, sostano per ore senza lasciar scendere i passeggeri, in località intermedie così come alla stessa stazione capolinea.
Viktoria, un’insegnante di 38 anni, ci ha raccontato che ha impiegato dieci ore per andare da Lviv a Przemyśl. In tempi di pace il viaggio durava meno di tre ore. Nel suo treno c’erano bambini che piangevano, urlavano per il caldo asfissiante e la sete, e questo perché nei vagoni non c’era lo spazio per caricare viveri ma solo quante più persone possibili.
Una volta alla frontiera, autobus, minivan e mezzi privati trasportano queste persone nei vari centri di primo aiuto sparsi per la cittadina di Przemyśl, pochi chilometri più a ovest. Dopodiché, il silenzio. La marea si ritira. In questo momento di risacca, volontari, polizia locale, esercito e medici si riorganizzano in attesa di una nuova onda di rifugiati.
Su questa parte di confine polacco sono stati organizzati sei centri di prima accoglienza. Alcuni sono specializzati in “logistica”, e permettono ai rifugiati di orientarsi e prendere contatti con driver arrivati da tutta Europa, disponibili ad accompagnarli gratuitamente alla loro prossima destinazione, sia all’interno della Polonia che in altre città europee. Przemyśl è oramai diventato un punto di svolta per queste persone, il luogo in cui decidono del loro imminente futuro. Non tutti hanno idee precise su dove andare. Tutti sperano però di ritornare indietro, nella loro casa.
I volontari giungono da tutta l’Europa per offrire un passaggio o una sistemazione a chi arriva. Sui social network centinaia di gruppi sono nati per coordinare gli aiuti, quando questi non sono organizzati dalle autorità. “Ora ci sono anche interi pullman che vengono dal Belgio” racconta un volontario belga che è venuto a offrire un passaggio in auto e un alloggio. Le autorità regionali belghe, ma anche le società private di trasporto, hanno effettivamente noleggiato degli autobus per andare a prendere i rifugiati.
"Ho fatto un post su Facebook per dire che sarei andato a prendere alcuni rifugiati al confine e li avrei portati in Belgio, dalla mia famiglia. Molti dei miei amici hanno reagito immediatamente dicendo che anche loro erano pronti ad ospitare nelle loro case"
Altri luoghi di cruciale importanza assomigliano invece a veri e propri accampamenti al coperto. Sono stati creati rapidamente all’interno di scuole, palestre e centri commerciali e offrono la possibilità di pernottare e avere un pasto caldo. Il cibo non manca, così come non mancano medicine, vestiti, giocattoli, pannolini per bambini e cibo per animali.
Nelle ultime settimane, in tutta Europa si stanno organizzando raccolte di beni di prima necessità da consegnare ai principali punti di confine. Decine di volontari di tutte le età sono costantemente impegnati a preparare i pasti.
Soprattutto donne e bambini
Va infatti sottolineato che la composizione della popolazione di rifugiati che fuggono dalla guerra in Ucraina è molto precisa: si tratta quasi esclusivamente di donne, bambini e animali da compagnia. Gli uomini con un’età compresa fra i 18 e i 60 anni devono restare a difendere il loro Paese dall’aggressione russa. Le poche eccezioni sono fatte per chi ha una famiglia numerosa con tre o più figli o un figlio disabile, per chi ha gravi problemi di salute, per chi ha avuto un parente deceduto nella guerra del Donbass o per certificati motivi di studio.
La verità è che pochi tra quelli che possono combattere o aiutare il proprio Paese cercano un modo di fuggire dalla guerra. Gli ucraini sono senza dubbio un popolo resiliente, forte e guerriero. Così come le donne, protagoniste assolute di questo esodo: coraggiose a partire da sole, a portare in salvo la propria famiglia; con una vita intera raccolta in una valigia preparata in fretta, con il rumore delle bombe nelle orecchie.
A chiunque lo si chieda -che provenga da Mariupol, da Kyiv o dalle città nell’est del Paese- nessuno vi dirà che ci si aspettava un’invasione. Sono già otto anni che l’Ucraina affronta un conflitto con i separatisti filorussi nel Donbass, ma questa guerra è tutta un’altra cosa.