window.dataLayer = window.dataLayer || []; function gtag(){dataLayer.push(arguments);} gtag('js', new Date()); gtag('config', 'G-XZCLKHW56X'); N°36 – La scelta di una vita - Ereb

N°36 – La scelta di una vita

21/11/2024

Canton Neuchâtel, 30 ottobre,
Suzanne* è morta di lunedì. Era stata lei a scegliere quel giorno.

Ci siamo trovatз di mattina, alle 9 in punto. Sono sempre molto puntuale per questo tipo di appuntamenti. Quando sono arrivato nella stanza della sua casa di riposo, c’erano già il marito, il figlio e la figlia. Suzanne era seduta sul letto e sembrava molto tranquilla. Indossava una bella camicetta.

L’ho salutata, le ho chiesto come stava e poi le ho posto la stessa domanda che ho fatto ogni volta che l’ho incontrata:“Sei ancora determinata a farlo?”

Avevo incontrato la prima volta Suzanne e suo marito due mesi prima, proprio in quella stanza. Mi aveva contattato, tramite la mia associazione Exit (che aiuta le persone che desiderano il suicidio assistito in Svizzera, ndr), perché aveva preso una decisione: voleva morire. Suzanne aveva 72 anni, come me, ma diversamente da me soffriva di diverse patologie.

Per due ore mi aveva raccontato gli ultimi 20 anni della sua vita: il morbo di Parkinson, che era progredito molto rapidamente, i terribili problemi con le protesi a entrambe le ginocchia, che le causavano dolori insopportabili, una stenosi, che le procurava dolori addominali, tre interventi chirurgici, ecc. “Non voglio prolungare inutilmente la fine di questa vita, che so essere irrimediabile. Non vedo più alcun motivo per aggiungere giorni alla mia esistenza”. Per lei, quei giorni avevano perso di ogni significato.

Lei e suo marito mi avevano parlato anche deз loro figlз, una ragazza e un ragazzo che non si vedevano da molti anni. Queste fratture familiari stavano occupando molto spazio nella loro mente.

Due settimane dopo mi chiamò di nuovo. A Exit lasciamo sempre che siano le persone a mettersi in contatto con noi; tutto deve essere una loro iniziativa dall’inizio alla fine. Mi propose di incontrarci di nuovo il lunedì successivo, alla presenza deз figlз! Dopo il nostro incontro, lз aveva chiamatз. Per la prima volta dopo anni, avevano accettato di incontrarsi di nuovo per sostenere la madre nella sua decisione di porre fine alla sua vita. È un bellissimo atto d’amore dare a qualcuno che si ama la possibilità di scegliere di morire.

Al nostro secondo appuntamento, spiegai dettagliatamente a tutta la famiglia cosa sarebbe successo. Fu una specie di prova generale, in modo che tuttз sapessero cosa sarebbe successo in quel giorno, e per assicurarmi che Suzanne fosse in grado di bere da sola. Questo è un prerequisito fondamentale per noi, perché altrimenti un’altra persona deve farlo per lei. Allora non si tratta più di suicidio, ma di eutanasia, che in Svizzera è illegale.

Due settimane dopo, ricevetti una telefonata da Suzanne: “Mio marito e io abbiamo deciso la prossima data”. Una volta fissato l’appuntamento finale, era completamente liberata e rassicurata nel sapermi là. Non era affatto depressa. Il suicidio non è mai un atto di convenienza. E chiedere di morire era per lei una liberazione assoluta.

L’ultimo giorno di Suzanne, tutto è andato come previsto. Ho messo i 15 grammi di pentobarbital in un bicchiere d’acqua. Ho preparato anche un pezzo di cioccolato per smorzare il sapore amaro della soluzione. Le ho dato il bicchiere e le ho detto un’ultima volta: “Sei ancora decisa a farlo?”

Lei ha risposto: “Addio, vi amo”. Ha bevuto la soluzione in tre sorsi. L’ho adagiata sul letto. Suo marito le teneva la mano e i suoi figli erano dall’altra parte del letto. Sua figlia piangeva. Sono uscito dalla stanza per lasciarla in famiglia. In cinque minuti Suzanne si era spenta molto serenamente.

Dieci minuti dopo sono tornato a tastarle il polso: la loro madre, la loro moglie, se n’era andata. Ho chiamato il medico per certificare il decesso, poi la polizia che doveva fare rapporto, alla quale ho consegnato la lettera di Suzanne, la sua cartella clinica e la prescrizione del barbiturico. Poi è subentrata l’agenzia di pompe funebri.

Alla fine della mattinata ho salutato la famiglia, che mi ha ringraziato, ho lasciato loro un biglietto e sono tornato a casa. Mi sentivo molto grato a Suzanne per essersi fidata di me. Nel pomeriggio sono andato a fare una passeggiata nel bosco. Lo faccio quasi sempre dopo un suicidio assistito. Per me, ogni volta, è un momento emotivo, certo, ma non traumatico. Ti fa sentire bene aiutare qualcunə a realizzare le sue ultime volontà.

Tra pochi giorni incontrerò una nuova persona che ha fatto richiesta di assistenza. È una coincidenza, ma come per Suzanne, sarà di lunedì.

*Nome di fantasia

Jean-Jacques

Negli ultimi vent’anni, Jean-Jacques ha accompagnato alla morte una ventina di persone attraverso l’associazione svizzera Exit, di cui è membro dal 2000 e co-presidente dal 2018. Per lui, aiutare persone come Suzanne a “lasciare una vita che non è più vita” è una scelta ovvia e un’esperienza che lo ha reso più calmo e attento allз altrз.

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