window.dataLayer = window.dataLayer || []; function gtag(){dataLayer.push(arguments);} gtag('js', new Date()); gtag('config', 'G-XZCLKHW56X'); A bordo della Sea-Watch 3: racconto di un salvataggio - Ereb

A bordo della Sea-Watch 3: racconto di un salvataggio

25/01/2022

Giornalista e fotografa:

Valeria Mongelli

Tra il 17 e il 18 ottobre 2021, la nave umanitaria Sea-Watch 3 soccorre 412 persone da sette diverse imbarcazioni in difficoltà nel Mediterraneo centrale, a poche miglia dalla costa libica. Rob, attivista di lunga data, guida uno dei gommoni di salvataggio. La minaccia della Guardia costiera libica, una tragedia in mare sfiorata, la difficile convivenza di centinaia di persone in uno spazio ridotto ed esposto alle intemperie: sono tante le sfide che l’equipaggio della Sea-Watch 3 deve affrontare perché i migranti raggiungano un porto sicuro in Europa. Racconto di cinque giorni passati in mare aperto, a salvare vite umane.

È una mattina di ottobre e il cielo è sereno. Il sole è sorto da poco, ma la squadra di salvataggio della Sea-Watch 3 è già in movimento. Bisogna prepararsi a uscire in mare con i canotti di salvataggio. Il radar della nave ha intercettato una barca in difficoltà con circa 66 migranti a bordo. Rob è responsabile di uno dei due gommoni di emergenza. Durante la preparazione mantiene il sangue freddo e dà poche, ma precise istruzioni alla sua squadra. Tutti indossano tuta impermeabile, salvagente, casco, mascherina FFP2. Bisogna fare in fretta: la Guardia costiera libica potrebbe arrivare da un momento all’altro. È il 17 Ottobre 2021 e la Sea-Watch 3 si trova nella zona di ricerca e salvataggio libica, tra Tripoli e Sabrata, a circa 30 miglia nautiche dalla Libia. 

In pochi minuti l’equipaggio è pronto e i gommoni vengono calati in acqua, insieme a due enormi borse piene di salvagenti di tutte le taglie, inclusi alcuni per neonati. Rob aziona il motore e si lascia velocemente la nave madre alle spalle. 

La squadra di salvataggio è composta da otto persone, quattro per gommone. Rob guida l’imbarcazione chiamata Alpha. Olandese, 46 anni di età, alto con occhi chiari e rughe da marinaio, Rob ha lasciato a casa una moglie e tre figli. Fa parte della squadra di Sea-Watch dal 2018 e ha preso parte a tre missioni. Aveva lasciato il suo lavoro stabile in una TV olandese per fare il volontario in mare dopo un burnout. «Dovevo iniziare a fare qualcosa in cui credevo veramente», ricorda.

  • Un membro dell’equipaggio della Sea-Watch 3 scruta l’orizzonte con un binocolo, nel tentativo di avvistare barche in difficoltà nella zona di ricerca e salvataggio libica © Valeria Mongelli

  • Sea-Watch 3, vista dal mare © Valeria Mongelli

  • Ritratto di Rob mentre guida uno dei gommoni di salvataggio della Sea-Watch 3 © Valeria Mongelli

Il battello in difficoltà è un’imbarcazione di legno, stracolma di gente. A bordo: tanti anziani, donne e bambini. Appena vedono i gommoni avvicinarsi, tutti si agitano, salutano, fanno cenno di raggiungerli. Tocca alla squadra del gommone Rezai fare il primo approccio; il secondo, Alpha – quello guidato da Rob -, resta a qualche metro di distanza a sorvegliare che tutto vada per il meglio. 

«Facciamo parte di un’organizzazione umanitaria», dice Niko, il mediatore culturale a bordo di Rezai. «Siamo qui per aiutarvi». Niko cerca di stabilire un contatto con i migranti con un tono autoritario e, al tempo stesso, rassicurante. Per la riuscita dell’operazione, è fondamentale che le persone restino calme. Sono tante, altrimenti, le cose che potrebbero andare storte: in primo luogo, c’è il pericolo che qualcuno si butti in acqua per raggiungere i gommoni di salvataggio. È anche il motivo per cui la Sea-Watch 3 non si avvicina troppo al punto in cui avvengono le operazioni: diventerebbe un polo di attrazione troppo forte. Il rischio è che qualcuno cerchi di raggiungere la nave madre a nuoto.

«Tieni d’occhio l’orizzonte»

Niko passa i salvagenti ai migranti dopo aver mostrato come indossarli correttamente. Poi le persone iniziano a essere imbarcate su Rezai. C’è qualche momento di confusione: la gente si spinge a vicenda, tutti vogliono salire per primi. È necessario alzare la voce: «Prima le donne!», poi i loro figli, in modo che ci sia qualcuno pronto a prenderli in braccio.

Nel frattempo, Alpha resta in disparte a controllare la scena. «Tieni d’occhio l’orizzonte», dice Rob a Lena, un altro membro della squadra. Teme di veder arrivare la motovedetta grigia della Guardia costiera libica da un momento all’altro. Se quest’ultima e una ONG si avvicinano in contemporanea a un’imbarcazione di migranti in difficoltà nella zona di ricerca e salvataggio del paese nordafricano, le autorità nazionali hanno la precedenza nel prendere in carico i migranti, per portarli in Libia. Inoltre, la Guardia costiera ha più volte minacciato le ONG che operano nel Mediterraneo centrale. Durante una missione organizzata a luglio 2021, i libici hanno sparato in direzione di una nave di migranti, nel tentativo di fermare la loro traversata verso l’Europa. L’equipaggio di Sea-Watch ha filmato la scena.

  • La squadra di salvataggio della Sea-Watch 3 si avvicina a una barca di migranti in difficoltà, a circa 30 miglia dalla costa libica, nella zona di ricerca e salvataggio libica, il 17 ottobre 2021 © Valeria Mongelli

  • Due membri della squadra di salvataggio della Sea-Watch 3 aiutano una migrante a imbarcarsi sul gommone Alpha, nella zona di ricerca e salvataggio libica, il 17 ottobre 2021 © Valeria Mongelli

  • Un migrante che indossa un salvagente della Sea-Watch 3 stringe il suo bagaglio dopo essersi imbarcato sul gommone di salvataggio della Sea-Watch 3 © Valeria Mongelli

  • Due migranti, di cui uno con una stampella, si preparano a lasciare la loro imbarcazione per imbarcarsi sul gommone di salvataggio della Sea-Watch 3, nella zona di ricerca e salvataggio libica, il 17 ottobre 2021 © Valeria Mongelli

Una volta pieno, Rezai si dirige verso la nave madre. È allora che Alpha può avvicinarsi e iniziare, a sua volta, a imbarcare i migranti. Una delle donne ha un malore mentre sale sul gommone. Bisogna aiutarla a sedersi. Un anziano con una stampella si trascina a fatica. Un altro non può camminare e bisogna trasportarlo di peso insieme alla sua sedia a rotelle. Per mantenere ordine a bordo, Rob è costretto più volte a urlare intimando silenzio. 

La manovra di avvicinamento del gommone alla nave madre è sempre complicata. La Sea-Watch 3 è una nave cargo molto pesante. Il suo movimento crea delle onde enormi che rendono la stabilità di Alpha precaria. Il pericolo è che qualcuno perda l’equilibrio e cada in acqua, finendo risucchiato dal motore della nave. Rob deve fare in modo che il gommone assecondi il movimento della Sea-Watch 3 e, allo stesso tempo, le onde. Ecco allora che, non appena si presenta un movimento d’onda propizio verso l’alto, Rob grida: «Ora!» – è il segnale che permette a una prima migrante sul gommone di essere afferrata per le braccia da parte dell’equipaggio sulla Sea-Watch 3. La donna messa in salvo cade a terra sulla nave madre. Ma si rialza rapidamente e subito le viene dato in braccio il suo bambino.

Nessuna tregua

Una volta a bordo della Sea-Watch 3, tutti i migranti devono essere perquisiti. Niente armi, sigarette o accendini: un incendio è infatti la minaccia più grande. Ai migranti viene poi misurata la temperatura, consegnata una mascherina e legato un bracciale di carta intorno al polso: il giallo è il codice per i minori non accompagnati, il rosso per le emergenze mediche, e così via. I migranti attendono pazientemente in fila. Nel frattempo, è un «grazie» continuo rivolto ai membri dell’equipaggio. A tutti viene consegnata una bottiglietta d’acqua e una coperta. La maggior parte delle persone si sistemano sul ponte. Solo le donne e i bambini più fragili possono dormire al chiuso, in una stanza di pochi metri quadri che in poco tempo appare sovraffollata. 

Poi, all’orizzonte compare una motovedetta della Guardia costiera libica che si avvicina alla barca dei migranti, per fortuna ormai vuota.

  • Tre migranti sfogliano un libro di geografia sul ponte della Sea-Watch 3 © Valeria Mongelli

  • Un membro della Sea-Watch 3 distribuisce braccialetti ai migranti salvati in mare © Valeria Mongelli

  • Membri dell’equipaggio della Sea-Watch 3 distribuiscono del tè ai migranti sul ponte della nave © Valeria Mongelli

Circa un’ora dopo Alpha e Rezai devono uscire ancora in mare: c’è un’altra barca in difficoltà. Il secondo salvataggio procede come il primo. E la Sea-Watch 3 inizia a riempirsi. A bordo ci sono 120 migranti, un numero già elevato per un equipaggio di 22 persone. La situazione inizia ad essere caotica. Bisogna dar da mangiare a decine di persone, fare in modo che possano adempiere almeno ai loro bisogni primari, prendersi cura da un punto di vista medico di chi ne ha bisogno. Per dare l’idea: ci vogliono delle ore solo per la preparazione del tè e il lavaggio delle stoviglie. 

Molti dei migranti della prima barca sono libici che hanno appena lasciato il loro paese e sono abituati al comfort di una casa. I migranti sulla seconda barca, invece, vengono soprattutto dall’Africa subsahariana. Loro sono in viaggio da mesi, alcuni da anni; molti scappano dai centri di detenzione libici. Per i secondi l’incubo è appena finito, mentre per i primi è appena iniziato. Gli africani dell’area subsahariana sono ostili verso i libici e a bordo iniziano le prime tensioni. «Non tutti i libici sono cattive persone», ricorda loro Sophie, responsabile dell’ospitalità a bordo. 

La ragazza è occupata a coordinare le operazioni di accoglienza: la preparazione del primo pasto e del tè. Una madre chiede «del latte per il bambino» e immediatamente altre quattro vogliono dei biberon per i loro figli. I tre dottori a bordo, invece, passano ore a trattare i casi più gravi: molte persone sviluppano ustioni da combustibile dolorose e invalidanti. Si tratta soprattutto di donne. Per proteggersi dalle intemperie, queste ultime siedono spesso sul fondo della barca. Il problema è che quando i migranti sono costretti a restare sull’imbarcazione per molti giorni e non hanno altri posti dove espletare le proprie funzioni corporali, proprio sul fondo dell’imbarcazione si deposita una mistura di combustibile, feci e urina che corrode la pelle.

Connecting the dots

Alex King:

Membro di ereb, giornalista e documentarista basato ad Atene

A Lesbo, la solidarietà si è trasformata in rabbia

L’isola greca di Lesbo è il luogo in cui si può osservare come l’accoglienza da parte dell’Europa in favore di potenziali rifugiati si sia indurita nel corso degli ultimi anni. Nel 2015, mentre l’Unione annunciava una crisi migratoria, circa mezzo milione di persone approdavano su Lesbo.  

Nonostante il fatto che i cittadini greci fossero alle prese con una crisi economica molto dura, le persone del posto, insieme a volontari, hanno salvato vite umane in mare e supportato i nuovi arrivati, aiutandoli anche nel loro viaggio verso l’Europa occidentale. Lesbo è stata premiata a livello internazionale e i suoi cittadini hanno ottenuto il premio John McCain per il “sostegno eroico a favore di rifugiati in fuga attraverso il Medio Oriente e l’Africa”. 

Ma nel 2022 il quadro è cambiato radicalmente. Lo si può notare dallo sguardo degli stessi cittadini dell’isola e a causa della presenza di torri di controllo e i fili spinati apparsi per contenere migliaia di sfortunati migranti finiti nei nuovi campi chiusi di Lesbo. 

Molti cittadini che erano stati volontari nel 2015, hanno nel frattempo ingrandito le file delle proteste che chiedono al governo di tenere i rifugiati fuori dall’isola. La ferocia di questi movimenti ha raggiunto l’apice a inizio del 2020, quando operatori delle ONG hanno dovuto fare i conti con vetture distrutte e centri d’accoglienza incendiati; ci sono anche stati casi di giornalisti picchiati – a tutto ciò va aggiunto l’intervento della polizia antisommossa. Soltanto una minoranza ha appoggiato i metodi violenti messi in campo, eppure tutti concordano: la situazione non può rimanere invariata. Alcuni residenti dell’isola vogliono semplicemente che i rifugiati non arrivino più; altri chiedono una soluzione umanitaria coerente che possa dare alle persone migranti la possibilità di continuare in maniera sicura e legale il loro percorso d’asilo, in modo da alleggerire la pressione sui punti d’ingresso come Lesbo. 

Con il sostegno finanziario dell’Unione europea, il governo greco ha optato per una risposta “militarizzata” al problema, ovvero: la costruzione di nuovi “muri” sempre più alti come rafforzativo del concetto di Fortezza Europa e l’esternalizzazione del controllo dei confini a stati in cui vige uno scarso rispetto dei diritti umani, come la Turchia e la Libia. Quando, a fine 2021, un interprete dell’Ue ha documentato la sua espulsione verso la Turchia, è diventato impossibile ignorare quello che le ONG affermano da molto tempo: ufficiali vestiti di nero e senza alcun titolo ufficiale, conducono respingimenti illegali in mare e nelle vicinanze del fiume Evros, il confine naturale che divide Grecia e Turchia. 

Questi respingimenti violano sia il diritto dell’Unione europea che i trattati internazionali in campo umanitario. La reazione da parte degli stati membri dell’Ue? Guardare dall’altra parte. A marzo 2020, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, in visita nel paese ellenico, ha affermato che la Grecia è lo scudo dell’Europa. Tradotto: che si continui – in qualsiasi modo – a tenere lontane le persone. In cambio si può chiudere un occhio. Dopo dieci anni passati a trovare una soluzione al problema delle migrazioni, ecco a che punto ci ritroviamo. Benvenuti nell’Europa del 2022. 

Il mattino dopo, verso le ore 6 del 18 ottobre, il capo della squadra di salvataggio bussa alla porta della cabina degli altri membri. Il sole non è ancora sorto, ma bisogna già uscire in mare. C’è un’imbarcazione in difficoltà nei paraggi – la prima delle quattro a cui Sea-Watch 3 presterà soccorso nell’arco della giornata. Ancora una volta, tutti si preparano in pochi minuti – durante la fase di preparazione sulla terra ferma ci si allena anche a indossare l’abbigliamento di sicurezza nel minor tempo possibile. 

Come al solito, Rob è pronto prima degli altri. Ormai ha partecipato a tante missioni di salvataggio. Eppure, questa è speciale. Nell’ottobre del 2016, quando era alla sua prima esperienza da volontario in una piccola ONG, mentre i migranti si imbarcavano sul gommone, qualcuno gli passò un pacco. Pensando fosse un bagaglio, per dare l’esempio, Rob era pronto a lanciare in acqua l’oggetto. Del resto, sul gommone lo spazio è ristretto: prima si salvano le vite, poi le valigie. Ma un attimo prima di buttare via l’oggetto, Rob si rese conto che dentro c’era una neonata di appena quattro giorni: Sarah. «Quel salvataggio ha cambiato la mia vita», dice Rob. Cinque anni dopo, non sa che fine abbiano fatto la bambina, tanto meno sua madre. Ma per celebrare l’anniversario di quell’incontro, durante questa missione, Rob sta registrando un podcast in collaborazione con una giornalista olandese. È per questo motivo che, prima di scendere in mare, si infila in tasca della tuta un microfono, avvolto in una busta di plastica per proteggerlo dall’acqua.

  • Rob prepara il ponte della Sea-Watch 3 prima di salpare per una nuova missione © Valeria Mongelli

L’equipaggio sale sui gommoni. Su indicazione di Rob, Alpha si munisce anche di un centifloat, una sorta di lungo tubo salvagente che, però, a causa della sua dimensione ingombrante, impedisce al gommone di prendere velocità (potrebbe quindi essere un ostacolo per raggiungere una barca lontana o per fuggire velocemente dalla guardia costiera libica). Eppure sarà fondamentale poco dopo.

Salvi, per un pelo

I primi tre salvataggi avvengono senza intoppi, uno dietro l’altro. Ma è durante il sesto, verso l’una del pomeriggio, che la situazione precipita: l’imbarcazione di fortuna che Alpha e Rezai approcciano deborda di esseri umani. Il peggio: il gommone è forato. Uno dei migranti tappa come può – con la mano e un piede -, la lacerazione. Ma non serve a nulla. E presto succede l’inevitabile: il gommone si sgonfia. In un attimo decine di migranti finiscono in acqua. Con l’aiuto degli altri membri dell’equipaggio, Rob getta il centifloat in acqua giusto in tempo affinché mani irrigidite dal freddo e dal panico riescano ad afferrarlo. Una giovane donna urla terrorizzata. 

Rob coordina il salvataggio nel salvataggio: ordina di recuperare prima i più deboli, ovvero chi si fa sentire di meno. «Se hai ancora forza per urlare» – commenterà più tardi – «vuol dire che hai anche energia per sopravvivere». A un certo punto è obbligato a spegnere il motore del gommone perché Alpha è circondato da persone. A chi è stato appena salvato ed è in forze viene chiesto di tirare fuori dall’acqua le persone aggrappate al centifloat. In qualche modo tutti i migranti riescono a salire sul gommone. Il salvataggio è durato pochi minuti, ma a tutti sono sembrate ore. 

  • Un membro dell’equipaggio della Sea-Watch 3 soccorre dei migranti finiti in acqua nella zona di ricerca e salvataggio libica, il 18 ottobre 2021 © Valeria Mongelli

  • Rifiuti, taniche di benzina e altri oggetti restano nel gommone dei migranti dopo che questi ultimi sono stati soccorsi dalla squadra di salvataggio della Sea-Watch 3 nella zona di ricerca e salvataggio libica © Valeria Mongelli

  • Alcuni migranti si aggrappano al centifloat della Sea-Watch 3, in attesa di essere soccorsi da una squadra di salvataggio della Sea-Watch 3 nella zona di ricerca e salvataggio libica, il 18 ottobre 2021 © Valeria Mongelli

  • Una coppia si abbraccia dopo essere stata soccorsa dalla squadra di salvataggio della Sea-Watch 3 nella zona di ricerca e salvataggio libica © Valeria Mongelli

Tra i migranti c’è chi piange, chi ride e chi ringrazia Dio. Una giovane coppia si abbraccia, incredula di essere al sicuro. Rob si chiede se tutti siano salvi. «Pensavo che tra i bagagli e i vestiti in acqua avremmo trovato qualcuno», commenterà più tardi. «So che aspetto ha una persona a faccia in giù in acqua». Poi domanda in giro se nessuno abbia perso un membro della famiglia o un amico.

È proprio questa una delle cose più tragiche delle morti in mare: i numeri non sono mai certi. Nel 2021, per esempio, le persone dichiarate morte o scomparse nel Mediterraneo sono state 2,041 (fonte: Organizzazione Internazionale per le Migrazioni – OIM/IOM). Dal 2014 a oggi, i dispersi sono 23,355, ma in realtà potrebbero essere molti di più. Se nessuno denuncia una scomparsa, o se il corpo, un pezzo di esso o un documento di identità non sono ritrovati, la morte non è mai avvenuta. Quella persona smette semplicemente di esistere. Ma stavolta tutti sono salvi. Anche per questo, successivamente Rob commenterà: «È stata una benedizione, oppure fortuna». 

Un'attesa infinita

A bordo della Sea-Watch 3 ci sono ormai 412 migranti. Tradotto: la nave è sovraffollata. Così i nuovi arrivati devono sistemarsi sul ponte più alto, quello esposto a pioggia e intemperie. Per fortuna pioverà solo una notte, qualche giorno più tardi. Ma sarà una notte terribile, per i migranti come per i membri dell’equipaggio a cui tocca il turno di sorveglianza notturno. Freddo, vento, mare in tempesta; molti migranti vomitano, un gruppo di somali arriva quasi alle mani per conquistarsi un posto per dormire riparati. Le coperte sono motivo di infiniti litigi: c’è chi ha perso la propria, chi ha freddo e ne vuole un’altra, chi la usa per marcare sul ponte il proprio territorio, puntualmente invaso da qualcun altro. Una nave di salvataggio è anche questo: un luogo che esige adattamento perché lo spazio, il numero di coperte e qualunque risorsa sono limitati.

Quando più di 400 persone devono convivere su poche decine di metri quadri in movimento, una nave diventa un microcosmo in cui tante dinamiche sociali vengono esasperate. In un certo senso, l’Africa intera è a bordo della Sea-Watch 3: somali, camerunensi, ivoriani, sudanesi, nigeriani – solo per citare alcune nazionalità. Per molte delle persone a bordo, si tratta spesso di primi incontri, a cui vanno aggiunti i retaggi di malumori post-coloniali. Per esempio, nigeriani e camerunensi non si vedono di buon occhio. Ecco allora che quando una ragazza nigeriana ha un flirt con un camerunese, l’episodio crea una sorta di incidente diplomatico internazionale a bordo, con litigi e risse che ovviamente deve essere domato dall’equipaggio. 

«Dove ci state portando? Perché stiamo girando in tondo?»

Più in generale, gli animi e gli umori a bordo sono i più disparati. Ci sono persone eternamente riconoscenti, che ringraziano l’equipaggio e cercano di rendersi utili. C’è Jerôme per esempio, un camerunese di 28 anni in viaggio con sua moglie Joyce e un figlio di appena una settimana. Jerôme e Joyce hanno passato diversi mesi nelle prigioni libiche. La seconda volta che è stata incarcerata, Joyce era incinta di sette mesi. Jerôme – che intanto era riuscito a fuggire -, ha pagato 3,000 dinari libici (circa 574 euro) come riscatto per liberare sua moglie. Prima di questo viaggio avevano già provato due volte a lasciare la Libia via mare, ma erano stati intercettati dalla Guardia costiera. «Avevamo perso la speranza», dice Jerôme. «Ma adesso l’abbiamo ritrovata: siamo talmente felici». 

Rob parla a lungo con due ragazzi del Sud Sudan. Poi riporta il dialogo: «Hanno vissuto in Libia per due anni e vissuto cose orribili. Sono stati venduti da un proprietario all’altro». «Uno di loro mi ha detto: “Sono tre giorni che siamo sulla Sea-Watch 3 e nessuno mi ha ancora picchiato o minacciato”. Quando gli ho chiesto cosa si aspettasse dall’Europa, mi ha risposto: “Mi aspetto di andare a dormire la sera senza la paura di non svegliarmi il mattino seguente”».

  • Joyce e suo figlio siedono sul loro letto sulla Sea-Watch 3, dopo essere stati soccorsi nella zona di ricerca e salvataggio libica © Valeria Mongelli

  • Jerôme, Joyce e il loro figlio sono ritratti sul ponte della Sea-Watch 3. Una volta a terra, registreranno il bambino all’anagrafe con il nome "Sea-Watch" © Valeria Mongelli

  • Alcuni migranti riposano tra le coperte sul ponte della Sea-Watch 3 © Valeria Mongelli

Altri migranti, invece, sono esasperati. Si lamentano per il cibo, il freddo, l’impossibilità di lavarsi. Alcuni esplodono: «Dove ci state portando? Perché stiamo girando in tondo?». Bisogna spiegare loro che una nave umanitaria non è semplicemente un mezzo di trasporto: è una questione politica. Per attraccare bisogna che le autorità di una costa limitrofa, in questo caso l’Italia o Malta, accettino di accogliere i migranti sul loro territorio e assegnino un porto alla Sea-Watch 3. Questo spesso non avviene prima che la situazione a bordo sia degenerata e la guardia costiera di turno non abbia evacuato i primi casi gravi da un punto di vista medico. È quello che succede anche stavolta: il 19 e il 21 ottobre, rispettivamente a distanza di uno e tre giorni dall’ultimo salvataggio, la Guardia costiera italiana procede all’evacuazione di quattro donne che necessitano di cure immediate. Una di loro, in uno stato di gravidanza avanzato, stava praticamente per partorire a bordo.

Il caso più noto di questo gioco politico risale al 2019, quando proprio la Sea-Watch 3 fu tenuta in ostaggio per settimane dall’allora ministro dell’Interno italiano, Matteo Salvini. L’allora capitana Carola Rackete fu costretta a portare i migranti a terra sfidando il blocco delle autorità italiane. L’inchiesta contro Rackete è stata definitivamente archiviata a dicembre 2021, quando la procura di Agrigento ha ritenuto che la volontaria aveva agito secondo la legge: aveva il dovere di sbarcare per salvare vite umane. Salvini, invece, è ancora sotto processo a Palermo per la politica dei porti chiusi. Da quando il leader della Lega non è più ministro, la politica italiana dell’accoglienza è meno rigida; ma le ONG che operano nel Mediterraneo sono ancora costrette a lunghi e difficili negoziati prima di poter sbarcare in un porto sicuro. In seguito all’attracco, spesso le navi sono poi detenute a causa di presunte irregolarità tecniche, strutturali o di sicurezza. Dettagli che le ONG definiscono in genere pretestuose. L’11 gennaio 2022, l’Ocean Viking – una nave di salvataggio appartenente all’ONG SOS Méditerranée -, è stata messa in detenzione dalle autorità italiane in seguito a un’ispezione da parte delle autorità portuali, che hanno rilevato irregolarità burocratiche nella registrazione delle strutture montate sul ponte per proteggere i migranti dalle intemperie.

Fortezza Europa

Anche la politica europea per le migrazioni sembrerebbe essere focalizzata sull’obiettivo di fermare gli arrivi di migranti. Inoltre, non si può certo dire che supportare le organizzazioni umanitarie come Sea-Watch 3 sia la priorità delle istituzioni comunitarie. A dimostrarlo, l’aumento dei finanziamenti dell’Ue per le operazioni di Frontex, l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera. Tra il 2020 e il 2021, le risorse sono aumentate del 49 per cento. In realtà non è necessariamente la quantità di denaro il problema, quanto le azioni concrete messe in campo dell’Agenzia. Una recente inchiesta a cura del prestigioso settimanale tedesco, Der Spiegel, ha fatto emergere il modus operandi di Frontex. Quando quest’ultima intercetta una barca nel Mediterraneo, la posizione del gommone di turno viene condivisa con una stazione di controllo a Tripoli o direttamente con la Guardia costiera libica, invece che con barche nelle vicinanze, come imposto dalla Convenzione internazionale per la sicurezza della vita in mare (SOLAS). Nel frattempo, in una recente intervista a The New Humanitarian, il portavoce della Commissione europea per gli affari esteri, Peter Stano, ha affermato: «La nostra priorità è salvare vite in mare e continueremo il nostro lavoro per impedire che si verifichino questi viaggi rischiosi».

Rob di politica preferisce non parlare: «Essere arrabbiati non è di ispirazione per nessuno». «Quello che davvero mi preoccupa», dice, «è che la gente a volte pensa che i volontari siano lì [in mare] per ragioni sentimentali, perché provano pietà. Certo, a me importa di quelle persone. Ma quello che trovo scioccante è che [in mare] le leggi internazionali vengono completamente ignorate. […] Viviamo in un tempo in cui se guardiamo dall’altra parte possiamo ignorare le leggi fondamentali dei diritti umani. Questo lo trovo preoccupante».

Il 22 ottobre 2021, dopo tre giorni di negoziati, alla Sea-Watch 3 viene assegnato un porto sicuro: è Pozzallo, nella Sicilia sudorientale. Quando l’annuncio viene trasmesso a bordo, la nave esplode – sembra la finale dei Mondiali. Alla gioia seguono i dubbi: in quale centro di accoglienza ci porteranno? Come funziona la procedura di richiesta d’asilo? Il giorno dopo inizia lo sbarco, che dura 48 ore. Tutti i migranti devono essere testati per il Covid-19 prima di essere mandati su un’altra nave, dove trascorreranno 10 giorni in quarantena. Saranno poi inviati in vari centri d’accoglienza per stranieri in giro per l’Italia. 

Per ragioni di sicurezza all’equipaggio di Sea-Watch viene chiesto di non scambiare i propri contatti personali – telefono, email, social media – con i migranti. Rob non sa che fine abbiano fatto Sarah e sua madre, né i sudanesi, né le altre centinaia di persone che ha salvato negli ultimi cinque anni. Questa volta però gli restano le loro voci, registrate dal microfono che portava in tasca.

Connecting the dots

Angelo Boccato:

Giornalista e podcaster basato a Londra

Uno sguardo oltreManica: il caso del Borders and Nationality Bill

Secondo i dati del ministero dell’Interno britannico, analizzati dall’agenzia di stampa PA News, il numero di migranti che hanno attraversato la Manica su piccole imbarcazioni è triplicato tra il 2020 e il 2021. Questa modalità di viaggio comporta rischi enormi, come evidenziato dalla morte in mare di 27 persone lo scorso novembre.

L’aumento degli sbarchi ha ulteriormente favorito il clima da “Fortezza Britannia” che regna nel Paese. Più concretamente, la ministra Priti Patel ha portato avanti una serie di misure draconiane come parte del Nationality and Borders Bill, una legge volta a riformare in modo drastico il diritto d’asilo nel Regno Unito.

Il Nationality and Borders Bill è, al momento, in fase d’analisi alla Camera dei Lords, in seguito al suo passaggio alla Camera dei Comuni, dove è stato approvato con 366 voti a favore e 265 contrari. Tra le misure più problematiche: la possibilità di deportare i richiedenti asilo in Paesi terzi, in linea con le politiche di detenzione extra-territoriale dell’Australia e la recente legge del governo danese. A questo si aggiunge poi il rischio di detenzione fino a quattro anni per chi arriva senza autorizzazione nel Paese, oltre a conseguenze per chi supporta i richiedenti asilo, in linea con la  della criminalizzazione della solidarietà nel resto d’Europa. 

Di fronte a queste misure, la rappresentante dell’Alto commissariato per i rifugiati dell’ONU nel Regno Unito, Rossella Pagliuchi-Lor, ha affermato che la legge metterà a rischio la protezione per i rifugiati. Secondo i dati dell’Oxford Migration Observatory,  tra il 2009 e il 2020, il numero delle persone finite nelle maglie del sistema di detenzione britannico è aumentato da 15,000 a ben 32,000.

Anche i cittadini britannici dalla doppia nazionalità sono minacciati. La Clausola 9 della legge renderebbe più semplice strappare la cittadinanza britannica a coloro che ne hanno più di una, andando a colpire sostanzialmente le minoranze non bianche. Il New Statesman ha evidenziato che sei milioni di cittadini britannici, tra l’Inghilterra e il Galles potrebbero rischiare di perdere la loro cittadinanza senza preavviso; il timore è grande tra coloro che sono arrivati nel Regno Unito come rifugiati. Questa clausola rischia di comportare l’effettiva legalizzazione della “razzializzazione” della cittadinanza, con un sistema solido per i cittadini bianchi britannici e una vita nella paura per quelli non bianchi. 

Pubblicato a gennaio 2022.

*Rob preferisce che il suo cognome non sia pubblicato per ragioni di privacy.

Rimani aggiornata/o, iscriviti alla nostra newsletter

Iscriviti