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Impressa nella pietra

25/03/2024

Galway, 13 marzo
La sera della Giornata internazionale dei diritti della donna abbiamo organizzato a Galway, nell’Irlanda occidentale, la marcia “Reclaim the Night”: una manifestazione contro l’alto livello di violenza sulle donne e sulle minoranze di genere. Abbiamo marciato per le strade della città. Erano circa le 19.00 e la notte cominciava a calare, quando alcuni uomini appostati sui marciapiedi davanti a bar e negozi hanno pensato bene di gridarci: “Le cose non sono mai andate così bene per voi come ora!” In sostanza, dovremmo accontentarci ed essere felici di ciò che abbiamo già.

Il giorno dopo abbiamo appreso che il popolo aveva respinto la proposta di eliminare dalla Costituzione irlandese il riferimento alla “vita della donna in casa”.

L’8 marzo, il governo aveva organizzato due referendum proprio su questo punto. La prima proposta messa ai voti era una modifica dell’articolo 41 della Costituzione, che basa il concetto di famiglia sulla nozione di matrimonio. Un articolo che ha un impatto sui diritti delle donne, in quanto non offre alle famiglie monoparentali la stessa tutela delle coppie sposate. La seconda prevedeva la cancellazione dei riferimenti dell’articolo 41.2 alla “vita della donna in casa” e ai “doveri domestici delle madri”, sostituendoli con un nuovo articolo 42B che riconoscesse “l’aiuto reciproco dei membri della famiglia”.

Insieme alla feminist society della mia università, ho partecipato alla campagna “YesYes” per questi due referendum. Inizialmente, la questione non era tanto relativa all’ottenimento dei due Sì, quanto più a capire quanto grande potesse essere la maggioranza a favore. Speravamo di ottenere una vittoria significativa, per dimostrare a questo governo e a quello successivo che i diritti delle donne e deɜ caregiver sono importanti per l’elettorato.

Quando sabato sono arrivati i risultati, è stato uno shock. Per la prima proposta 67% di no, per la seconda 73% di no e solo il 44% di affluenza.

Poi, ascoltando le ragioni per cui le persone hanno votato no o si sono astenute, mi sono resa conto che il più delle volte non era in gioco la questione, ma il modo in cui era stata presentata, la scelta delle parole, la mancanza di chiarezza. C’era molta confusione e incomprensione su ciò che sarebbe stato tolto o aggiunto al testo.

Personalmente, avevo previsto questi referendum come una continuazione delle recenti modifiche alla nostra Costituzione. Negli ultimi cinque anni abbiamo approvato il 34° emendamento, che ha autorizzato il matrimonio tra persone dello stesso sesso, e il 36° emendamento, che ha legalizzato l’aborto, entrambi dopo referendum che hanno mobilitato oltre il 60% della popolazione. La gente era davvero entusiasta! Se prendiamo l’aborto come esempio, votando a favore si sentiva – giustamente – di correggere una situazione che metteva in pericolo la vita delle donne.

Non c’è lo stesso entusiasmo per le modifiche alla sezione 41. Moltɜ vedono questi cambiamenti come simbolici. Era compito del governo convincerlɜ della loro importanza, ma non ci sono riuscitɜ. Il nostro Taoiseach, il nostro Primo Ministro, ha riconosciuto pubblicamente la responsabilità del governo per questa sconfitta.

Eppure basta guardare alla storia recente dell’Irlanda per capire perché si trattava di una cosa importante. Dopo una prima Costituzione nel 1922, che sanciva principi di uguaglianza, i diritti delle donne nel nostro Paese sono costantemente diminuiti, nel corso dei decenni.

Ad esempio, la Costituzione di cui parliamo oggi, che risale al 1937, non solo menziona il posto delle donne in casa, ma vietava anche il divorzio. La contraccezione è stata vietata nel 1935. In quel periodo, c’erano anche molti abusi all’interno delle istituzioni, nelle Mother and baby homes o nelle Magdalene Laundries, dove fino agli anni ’90 venivano mandate le donne che avevano avuto figlɜ fuori dal matrimonio…

Nel 1924, una legge obbligava le donne che lavoravano nel servizio pubblico a dimettersi per potersi sposare. Questa legge è rimasta in vigore fino al 1973, il che significa che oggi in Irlanda vivono delle persone che non hanno avuto altro reddito oltre a quello del marito, e che ora non hanno una propria pensione, ma solamente il sostegno di Stato. Queste vecchie leggi, quindi, hanno un effetto ancora oggi. Stiamo ancora lottando con un quadro che deriva dal legame molto forte che esisteva all’epoca tra la Chiesa cattolica e lo Stato.

Per quanto mi riguarda, il fatto che la nostra Costituzione menzioni ancora il posto e i doveri della donna in casa annulla tutta la libertà di scelta per cui abbiamo combattuto negli ultimi anni. Nella sua forma attuale, l’articolo 41.2 non tutela le donne e non permette loro di decidere liberamente se rimanere a casa, poiché non è accompagnato da una legislazione che rende questa scelta economicamente sostenibile.

La gente pensa “sì, ma questo testo è stato scritto nel 1937, in un contesto diverso”, ma è proprio per questo che mi infastidisce. Tuttɜ concordano sul fatto che il suo linguaggio sia misogino e dispregiativo. Questo non andrebbe tollerato oggi. Ed è piuttosto imbarazzante che invece lo si faccia.

È una cosa che ho imparato quando studiavo legge: non ci si può accontentare di quello che c’è. Non si può dire che il passato è passato. Se partiamo dal principio che la Costituzione è il documento che codifica i nostri valori, allora dovrebbe riflettere i valori di una società progressista e inclusiva, verso la quale l’Irlanda si sta lentamente ma inesorabilmente muovendo negli ultimi anni.

Róisín

Róisín è presidente della feminist society dell’Università di Galway, dove studia legge. Nelle ultime settimane si è battuta per una modifica della Costituzione irlandese, che menziona, tra le altre cose, il posto delle donne in casa. Questa modifica è stata respinta dal referendum costituzionale dell’8 marzo. Sulla scia di questa sconfitta, continua a credere che questo cambiamento di vocabolario sia necessario.

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